Recensione: Roberto Trussardi, La taverna del diavolo

Roberto Trussardi
LA TAVERNA DEL DIAVOLO
I sette omicidi dell’anarchico Simone Pianetti

Edizioni Stampa alternativa | pp. 270 | € 14

A Camerata Cornello il 13 Luglio 1914 Simone Pianetti uccise sette persone; dopo questa azione fuggì sui monti, dove rimase nascosto per circa due mesi. L’ultima persona ad averlo visto fu il figlio Nino, che andò a cercarlo tra le montagne su incarico delle autorità con l’intenzione di convincerlo a costituirsi. Dato che il Pianetti – cerco di assumere un linguaggio giudiziario – è uno dei miliardi di personaggi minori della storia, tranquillamente dimenticati, la sua vita è documentata dettagliatamente solo nel periodo della notorietà. Di ciò che fece prima nulla si sa in dettaglio; solo che emigrò in America a 27 anni, dove cercò fortuna, fallì e tornò in Val Brembana; prese allora un’osteria – l’osteria del diavolo appunto – e poi, dopo il fallimento di questa prima impresa commerciale, rilevò un mulino elettrico a San Giovanni Bianco. Il fallimento di questo nuovo tentativo, provocato, a suo dire, dalle macchinazioni della gente perbene di Camerata, fu la probabile molla che lo spinse all’eccidio. Dopo la fuga tra i monti, Pianetti entra nella leggenda, nel bene e nel male. La famiglia Pianetti lo diede per disperso, ma alcune voci lo vogliono fuggito in America; Domenica Milesi, che lo conosceva sin da piccola, afferma di averlo rivisto in Venezuela nel ’52. Questi sono i dati storici.
Qui però leggiamo un romanzo storico, e quindi c’è una parte di invenzione, che ha una funzione ben precisa – ideologica – e bisogna quindi stare attenti a tener divisi i due piani. Infatti Trussardi crea un Pianetti che più che ad un personaggio storico somiglia ad un’idea, l’idea dell’anarchia appunto. Nel romanzo Simone entra in contatto con i circoli anarchici e si forma una coscienza politica sulle ideologie libertarie di questo movimento che sul finire dell’ottocento aveva iniziato una lotta contro il potere costituito; in particolare conosce Gaetano Bresci, colui che uccise nel 1900 re Umberto I. Dal 1900, anno del rientro dall’America, al 1914, Simone porta avanti i tentativi commerciali di cui s’è detto, e poi la strage.
Nel romanzo di Trussardi, i sette omicidi sembrano la logica conseguenza delle angherie subite; la rivolta violenta – l’unica rivolta pratica di sicuro successo – è la risposta anarchica all’uso delle leggi da parte di chi è al potere e lo gestisce per il proprio tornaconto, contro chi non rappresenta i propri ideali. In questo senso, il romanzo di Trussardi è un’opera coerente, scritta in maniera lineare e di facile accesso a tutti. La creazione di un personaggio letterario che solo in parte è sovrapponibile al personaggio reale non è un delitto, e la modificazione ai fini narrativi dei caratteri delle persone che hanno vissuto con Simone ha una funzionalità, appunto, solo narrativa, non storiografica. Lasciano però un po’ perplessi alle volte alcuni atteggiamenti eccessivamente machisti da parte di un uomo nato nell’ottocento, ed un egoismo semi consapevole che più che con un anarchico fanno pensare di avere a che fare con un leghista. Lo scrittore è comunque consapevole di questa doppiezza di Simone, visto che in una conversazione che ha con lui Bresci lo definisce un cattivo anarchico (Sei troppo individualista, Simone, troppo chiuso, ti tieni tutto dentro, e hai la mania di fare tutto da solo. In altri termini, sei un po’ stronzo, p. 133).
Oltre ai documenti dell’epoca, l’unico a parlarci di Pianetti è stato tale Ashton Wolfe, amico anarchico – nel romanzo – conosciuto in America nonché scrittore e giornalista, che pubblicò nel ’29 la storia di Pianetti: Pianetti, the chamois hunter. Anche in un libro da poco pubblicato, Briganti e banditi bergamaschi, si parla di questo eccidio e al libro di Wolfe viene data pochissima credibilità. Si conferma evidentemente la differenza tra il piano narrativo e quello storiografico.
Il merito di Trussardi sta nell’aver cercato di portare all’attenzione di tutti su di un fatto storico ormai dimenticato, seppure in una forma che allo storico di professione risulta difficile da accettare. Questo non è un libro di storia, ma una storia che cerca di riabilitare la taverna del diavolo dove ha trovato ostello una delle tante forme che ha assunto quello spettro, terrore della borghesia perbene, che tanto tempo fa si aggirava per l’Europa…

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