Recensione: Francesco Vecchi, Non dobbiamo salvare il mondo

Francesco Vecchi
NON DOBBIAMO SALVARE IL MONDO

Dall’auto elettrica al bio, tutti i falsi miti della religione green
Edizioni Piemme | pp. 149 | € 18,50

La tesi di fondo di questo libro è che le posizioni dell’ambientalismo italiano stanno condannando il paese all’arretratezza, una tesi che a molti potrà dare fastidio, come l’autore del volume tiene a precisare sin dall’inizio. Questo autore non è uno scienziato, ma un personaggio televisivo, è bene premetterlo, ma i dati che riporta fanno sicuramente pensare. Francesco Vecchi elenca una miriade di casi, raccolti in Italia ma anche provenienti da paesi stranieri, dove agli interessi che la scienza porta avanti si antepongono supposti interessi di tutela ambientale e/o culturale facendo si che le opere che potrebbero trasformare il paese e renderlo più capace di accettare il futuro lo stanno di fatto condannando ad una posizione di retroguardia. Tirando le somme di tutti questi che potremo chiamare case study l’autore si concentra su due elementi centrali nella teorizzazione verde: la produzione di energia elettrica verde e l’agricoltura bio. Entrambe sono belle idee, tecnologie valide ma in ambiti ristretti, secondo Francesco Vecchi. In nessun caso si può pensare che la richieste energetiche/alimentari di un’intera nazione, per non parlare del mondo intero, possano essere soddisfatte dai pannelli solari o dal campetto bio coltivato a mano da due pensionati. Portiamo dei casi concreti per valutare. Ad esempio, se la città di Tokyo si alimentasse interamente a pannelli solari in caso di pioggia ci vorrebbero 14 milioni di batterie perché possa funzionare tre giorni: più batterie di quante ne produca in un anno tutto il mondo. Per l’agricoltura bio, il caso dello Sri Lanka: l’eliminazione voluta dal governo dei pesticidi dalle coltivazioni ha provocato un crollo della produzione con conseguente crisi economica e sociale del paese. Detto in altri termini, l’agricoltura bio è buona e bella e giusta ma basta per pochi.
In definitiva Francesco Vecchi, con uno stile a metà tra l’incredulo e l’indignato, mette in luce il vero problema dell’Italia, un paese dove la cultura scientifica è sempre stata guardata con sospetto. Una cosa è però il sospetto, che è ingiustificato (noi viviamo meglio dei nostri nonni perché usiamo la scienza), altra questione è il cattivo uso della scienza fatto in Italia, dove interessi e consorterie politiche hanno da sempre prevalso su un’applicazione veramente a vantaggio di tutti. M’è tornato in mente un vecchio libro di Chicco Testa sulla questione nucleare dove questo discusso ex esponente di Legambiente poneva diverse questioni circa l’uso del nucleare in Italia; nel libro di Vecchi la questione viene riattualizzata raccontando della scoperta, forse miracolosa, di un nuovo sistema per sfruttare il nucleare; un sistema che permetterebbe il completo riutilizzo delle scorie e il raffreddamento a prova di disastro. Il responsabile dell’invenzione, in via di verifica, è il piemontese Stefano Buono che si pone il termine di dieci anni per portare a compimento il suo progetto. Il punto è se lo porterà a compimento in Italia o se, a causa della miopia del popolo e del ceto politico che questo popolo esprime, dovrà farlo all’estero: un altro capitolo dell’eterna lotta contro i miti.

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